Capolavori dalla Collezione Costakis, Aleksandr Rodčenko, Fotografia
L’Avanguardia russa del XX secolo rappresenta un fenomeno unico per la cultura mondiale.
A Villa Manin di Passariano (UD) sarà possibile immergersi appieno in quella formidabile stagione di sperimentazioni, rivoluzioni, confronti con le nuove tecnologie e con i ritmi della modernità – una stagione di dialogo tra arte, artigianato, spettacolo e fotografia – con due mostre che insieme danno vita a un evento eccezionale.
Dopo l’esposizione a Torino, oltre 300 opere della straordinaria collezione di George Costakis, per la prima volta in Italia dal Museo Statale d’Arte Contemporanea di Salonicco, saranno esposte dal 7 marzo al 28 giugno nelle sale della splendida Villa dell’ultimo Doge di Venezia.
Una mostra enciclopedica – curata da Maria Tsantsanoglou e Angeliki Charistou realizzata in collaborazione con il Museo e la Città di Salonicco e con il Ministero della Cultura e dello Sport della Repubblica Ellenica – capace di mettere in luce, grazie alla varietà e alla ricchezza dei lavori presentati, le diverse e ancora poco conosciute anime dell’arte sperimentale russa e di svelare la storia e la personalità di quell’uomo – quel “pazzo greco”- che sfidando i divieti del regime stalinista riuscì a collezionare migliaia di opere di artisti russi dei primi decenni del Novecento, evitandone la distruzione e la dispersione.
Dipinti, gouaches, acquerelli, lavori d’arte applicata dei principali protagonisti di quella stagione, documenti e un nucleo importante di disegni sull’architettura costruttivista per un’esposizione che a Passariano (Udine) si arricchisce di un ulteriore nucleo di prestiti, eccezionalmente ottenuto dal Museo greco: tra questi alcuni dipinti di Malevi e di Rodčenko mai esposti nel nostro Paese, che verranno affiancati agli altri capolavori in mostra.
Un’integrazione significativa, perché è proprio alla complessa personalità artistica di Aleksandr Rodčenko (1891-1956) che è dedicata un’altra affascinante esposizione curata da Ol’ga Sviblova – allestita in contemporanea nelle ampie sale della dimora dei Manin – focalizzata sulla rivoluzionaria produzione fotografica dell’artista russo, che a partire dal 1924 abbandonò la pittura per dedicarsi totalmente a questa forma d’arte, che fu capace di innovare profondamente. Cento opere tra fotografie originali, collage, fotomontaggi, copertine e stampe, pubblicità, provenienti dal Multimedia Complex of Actual Arts (Moscow House of Photography Museum), ci consegneranno uno spaccato quanto mai significativo degli anni Venti e degli inizi degli anni Trenta in Russia: con i volti, le mode, le architetture, gli ideali e le finzioni di allora, magistralmente colti da Rodčenko con nuovi punti di vista e con un linguaggio visivo assolutamente personale e nuovissimo.
Le mostre promosse dall’Azienda Speciale Villa Manin di Passariano e dalla Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia, con il sostegno della Fondazione CRUP, sono incluse nello stesso biglietto (comprensivo di audioguida) e costituiscono dunque una proposta culturale assolutamente irripetibile in Italia.
Una mostra-evento che racconta l’arte sperimentale russa del primo Novecento e la storia dell’uomo che l’ha salvata.
Ammirata e famosa a livello internazionale, giunge a Villa Manin la mostra dedicata a un nucleo fondamentale dell’eccezionale collezione d’Avanguardia russa di George Costakis: l’uomo che nella Mosca degli anni immediatamente seguenti la Seconda Guerra Mondiale, sfidando i divieti del regime stalinista, decise di raccogliere metodicamente testimonianze dell’arte sperimentale russa d’inizio secolo, salvando dalla distruzione e dall’oblio questa componente vitale della cultura del Novecento.
In contatto con le famiglie e gli amici degli artisti, oltre che con i pittori ancora in vita, Costakis – che lavorava come autista prima all’Ambasciata greca e poi in quella canadese – diede vita a una raccolta straordinaria che fino alla metà degli anni ’70 conservò nel suo appartamento moscovita. L’abitazione era divenuta una sorta di straordinario museo privato, fucina per la formazione delle giovani generazioni e luogo d’incontro d’intellettuali, artisti e personalità di tutto il
mondo che qui mangiavano, bevevano e discorrevano e dei quali restano ricordi, commenti e messaggi nel libro degli ospiti: da Marc Chagall a Henri Cartier-Bresson, da Nina Kandinsky a Edward Kennedy, da David Rockfeller a Igor Stravinsky.
Nel 1977 Costakis se ne andò da Mosca per stabilirsi in Grecia, dopo un anno trascorso a Roma, lasciando alla Galleria Tretyakov una parte della sua collezione. Il nucleo rimanente di 1277 opere che volle portare con sé, venne acquistato nel 2000, a dieci anni dalla sua morte, dallo Stato Greco divenendo la principale collezione del Museo di Salonicco presso il Moni Lazariston.
La mostra “Avanguardia Russa dalla collezione Costakis”, con circa trecento opere esposte – tra cui dipinti, gouaches e acquarelli, lavori d’arte applicata, documenti e un nucleo di un centinaio di disegni sull’architettura costruttivista – si propone come una vera e propria esposizione enciclopedica dell’Avanguardia russa, rappresentativa di tutti i principali movimenti del tempo (dal Nuovo impressionismo e simbolismo al Cubo futurismo, dal Suprematismo al Cosmismo), ricca dei capolavori dei maggiori artisti di quegli anni tra cui il Ritratto di Malevi del 1910, Donna in Viaggio della Popova, in cui le istanze del cubismo francese s’intersecano con gli elementi del futurismo italiano e – tra i tanti – Ritmo espressivo del 1943-1944 di Rodčenko, opera che con gocce e schizzi di colore crea una sorta di ritmo e di moto in un equilibrio compositivo ”calcolato”, che spinge a un inevitabile confronto con l’espressionismo astratto e action painting.
Un’immersione totale per comprendere i cambiamenti radicali e rivoluzionari di quello che è stato definito da Camilla Gary “il grande esperimento” dell’arte del XX secolo.
Aleksandr Rodčenko, Generatore d’arte
L’avanguardia russa del Novecento è stato un fenomeno unico non solo nella cultura russa ma nel mondo intero. La sorprendente energia creativa espressa dagli artisti di questa età dell’oro alimenta ancora oggi i movimenti artistici contemporanei e tutti coloro che hanno a che fare con la nuova arte russa.
Aleksandr Rodčenko è stato indubbiamente uno dei principali generatori di idee creative di quella stagione straordinaria e ne ha rispecchiato alla perfezione la temperatura spirituale. Pittura, design, teatro, cinema, tipografia, fotografia: tutti i campi investiti dal poderoso talento di quest’uomo forte e bello vennero trasformati e radicalmente aperti a nuovi percorsi di sviluppo.
I primi anni venti rappresentarono un’”età intermedia” – per citare Viktor Šklovskij, uno dei critici e teorici più raffinati di quel periodo – in cui, anche se per breve tempo e forse in maniera illusoria, sperimentazione artistica e sociale coincisero. Proprio in quel periodo, era il 1924, la fotografia venne “invasa” da Aleksandr Rodčenko, artista già molto famoso, con lo slogan “ Il nostro dovere è quello di sperimentare”, un imperativo saldamente posto al centro della sua estetica. Il risultato di questa invasione fu un fondamentale ripensamento della natura della fotografia e del ruolo del fotografo. Con l’introduzione del pensiero concettuale, da mero riflesso del reale la fotografia divenne così un mezzo per rappresentare visivamente costruzioni intellettuali dinamiche. Rodčenko introdusse nella fotografia i principi del costruttivismo sviluppando metodologie e strumenti per la sua applicazione. Le tecniche da lui scoperte si diffusero rapidamente e vennero riprese non solo dagli allievi e dai colleghi che ne condivisero gli obiettivi, ma persino da avversari politici ed estetici. Tuttavia, l’impiego del “metodo Rodčenko” – che comprendeva la composizione diagonale, da lui introdotta per la prima volta, lo scorcio e gli altri esperimenti formali – di per sé non garantiva automaticamente che un’immagine si elevasse al rango di opera d’arte. La figura di Rodčenko fotografo venne identificata non solo – e non tanto – da questi espedienti formali, per i quali venne così duramente criticato verso la fine degli anni venti, quando dal profondo e innato romanticismo che lo caratterizzava sin da quando era studente. Basti ricordare le lettere immaginarie che scrisse a Varvara Stepanova nei primi anni dopo il loro incontro. Questo elemento romantico, radicato fin dall’infanzia trascorsa dietro le quinte del teatro dove lavorava suo padre, si trasformò nel potente pensiero utopico del cosruttivista Rodčenko, che credeva nella possibilità di una trasfigurazione positiva del genere umano e del mondo.
In ognuna delle serie fotografiche realizzate negli anni venti, Rodčenko si pose nuovi obiettivi creando veri e propri manifesti che illustravano la realtà e la vita trasformata dai principi artistici del costruttivismo.
Nell’intera storia della fotografia russa della prima metà del Novecento, Aleksandr Rodčenko è il solo ad averci lasciato, attraverso la pubblicazione dei suoi articoli e diari, delle tracce uniche: le riflessioni artistiche di un fotografo pensatore, testimone di un cataclisma storico che generò in lui un tragico conflitto tra presupposto cosciente e pulsione inconscia alla creazione.
Negli ultimi anni della sua vita, tradito da amici e seguaci, privato del diritto di lavorare, di guadagnarsi da vivere e di partecipare alle mostre, espulso dall’Unione degli artisti e di salute malferma, Aleksandr Rodčenko, fu, nonostante questo, un uomo fortunato. Aveva una famiglia: l’amica e la compagna d’armi Varvara Stepanova, la figlia Varvara Rodčenko e il genero Nikolaj Lavrent’ev, il nipote Alexandr Lavrent’ev, un piccolo clan molto compatto e pieno di energia creativa. Se non fosse stato per i suoi cari, il primo museo fotografico della Russia, la Casa della fotografia di Mosca, non sarebbe mai nato.